Uomini Illustri
Francesco AGRICOLETTI
Fu autore di opere storiche e letterarie. Una sua Descrizione del Regno di Napoli è rimase inedita. Videro, invece, la luce alcune sue storie romanzate a sfondo picaresco come Il Rodrigo (Napoli 1644 e Venezia 1648), Il sospetto punito (Venezia 1630), Il sogno paraninfo (Roma 1647 e Venezia 1650).
Francesco Agricoletti era nato a Venafro, ma buona parte della sua vita la trascorse a Vasto, come segretario di Diego d'Avalos, principe di Francavilla e d’Isernia e marchese del Vasto, alla cui moglie, Isabella d'Aquino, dedicò Il sogno paraninfo. Si stabilì definitivamente nella città abruzzese a seguito delle nozze contratte con una gentildonna del posto: Virgilia Magnacervo.
Tale circostanza ha fatto ritenere a qualche storico vastese che fosse originario di quella città. In realtà la presenza degli Agricoletti a Venafro risale alla fine del 1500, epoca in cui vi si trasferirono da Bergamo. Francesco era figlio di Giovannetto e di Giovanna Giusto, entrambi venafrani. Nel 1644, infatti, moriva a Venafro l'ultima rappresentante della famiglia, Elisabetta, sposata a Giovanni Ambrogio Mascio e sorella del nostro Francesco, che le fu successore testamentario.
Alla morte dello scrittore, avvenuta nel 1673, seguì quella della moglie la quale, con testamento del 5 novembre dello stesso anno, lasciava la ricca raccolta di libri del marito ai monaci Agostiniani perché aprissero una pubblica biblioteca in Vasto.
AMICO da Venafro
Amico Santabarbarbara, nelle patrie storie detto “da Venafro”, usciva da una delle famiglie venafrane più prestigiose quando abbracciò la carriera militare, come allievo del celebre condottiero Giovanni de Madici, detto delle Bande Nere, nelle cui formazioni si distinse per abilità e coraggio. Era al servizio della Repubblica fiorentina e nel 1529, quando Firenze fu assediata dall’esercito imperiale di Carlo V, Amico era uno dei quattro colonnelli che, sotto il comando supremo di Malatesta Baglioni, tenevano la disperata difesa della città. In quella circostanza è ricordato dal Guerrazzi come uno dei più valenti spadaccini del suo tempo.
Durante l’assedio assunse, con la sua squadra, una delle posizioni più difficili dello schieramento e riportò una ferita al braccio. Al suo fianco combatteva il giovanissimo figlio Lucio. Fu in tale evenienza (5 maggio 1530), mentre si trovava solo e disarmato presso la chiesa di S. Francesco sotto S. Miniato, che rimase ucciso con ventisette ferite inflittegli a tradimento da un gruppo di sicari assoldati da Stefano Colonna, il quale era stato da lui precedentemente offeso durante un alterco. L’adesione alla causa della repubblica fiorentina gli era costata, nel 1529, la confisca di tutti i beni. Tra questi figurava anche la sua casa di Venafro, sita in parrocchia di S. Maria di Loreto.
Edoardo CIMORELLI
Nacque a Venafro il 31 maggio 1856 da Nicola e da Giulia dei marchesi Parise, figlia di Giuseppe che era stato ministro dell'Interno sotto Ferdinando IV. Crebbe, dunque, in un ambiente familiare nel quale erano vivi la tradizione borbonica e i sentimenti unitari di opposizione. A 19 anni, nel 1876, entrava in Magistratura. All’attività giudiziaria aggiunse quella politica con l’elezione a deputato nel Collegio di Isernia, avvenuta il 6 giugno 1897 in seguito all’opzione per altro Collegio di Emanuele Gianturco. Per 22 anni fu rieletto in tutte le sei successive legislature, fecendo parte della maggioranza ministeriale e partecipando attivamente alla vita parlamentare con scritti e discorsi. Tra le iniziative parlamentari si ricordano la legge sul notariato, le prese di posizione per il rinnovo dell'armamento della linea ferroviaria Caianello-Venafro e per la difesa che, nel 1904, fece delle acque del Volturno che si intendeva utilizzarle per l’approvvigionamento di Napoli. Fece parte del Tribunale supremo di Guerra; nel 1916 fu nominato Primo presidente della Corte d'Appello di Lucca e nel 1922 Procuratore generale in quella di Napoli. Per dieci anni fu Presidente del Consiglio Provinciale di Campobasso. Morì a Napoli il 12 agosto 1933 e riposa a Venafro
Scipione COPPA
Abate e canonico della Cattedrale di Venafro, fu uno di quegli eruditi che nel '600 diedero vita ad una serie di accademie dai nomi più strani e spesso fantasiosi: appartenne, infatti, all'Accademia degli Umoristi che aveva sede in Roma, città che frequentò con una certa assiduità. Era figlio di quel Giovan Battista che nel 1639 aveva pubblicato un volumetto di liriche, noto ma ormai introvabile. La sua famiglia era originaria di Sorrento e ad essa, nel 1494, fu conferito il titolo di nobile dal re Ferdinando d'Aragona. Il ceppo di Venafro risaliva a un Gian Lorenzo che alla fine del '500 era venuto ad esercitarvi la professione di notaio. La sua notorietà è legata alla pubblicazione del libro Eco politica (Roma 1684), che dedicò alla regina Caterina di Svezia che in quegli anni soggiornava a Roma, dove la sua casa era diventata il centro di un’intensa attività culturale, che preluse alla futura Arcadia, ed il Coppa ne fu uno dei frequentatori. Dalle dediche dei capitoli di cui si compone la terza parte dell'opera, si ricava che fu in rapporti con numerose personalità, tra le quali i cardinali Massimo e Azzolini. L’Eco Politica contiene una serie di precetti e consigli diretti ai detentori del potere. Una seconda edizione fu pubblicata a Napoli nel 1725. Delle altre sue opere, si ricordano Il trofeo della bontà (Roma 1680); Relazione della presentazione della Chinea e Le fughe della penna, entrambe edite in Roma nel 1684.
Gabriele COTUGNO
Fu uno dei prelati più stimati della sua generazione e concluse la carriera ecclesiastica con le dignità di teologo ed arcidiacono della Cattedrale. Nato il 10 maggio 1786, nel 1824 pubblicava a Napoli, le Memorie ístoriche di Venafro e, più tardi, nel 1831, un Saggio di notizie riguardanti Venafro e la sua ex cattedrale, finalizzato ad impetrare il ripristino della giurisdizione diocesana di Venafro, che era stata soppressa ed aggregata a quella di Isernia, dopo il Concordato del 16 febbraio 1818 tra Pio IX e Ferdinando IV.
Fu corrispondente della Reale Accademia Ercolanense e dell’Accademia Pontaniana. Morì il 14 agosto del 1860.
Giovanni DE AMICIS
Giovanni de Amicis, nato a Venafro nel 1463, si addottoro in legge a Napoli nel 1484. Nel 1522, godendo fama di eccellente giureconsulto, fu chiamato ad insegnare diritto civile nella facoltà di Giurisprudenza di quella Università. Con privilegio del 24 maggio dello stesso anno, gli Eletti della città di Napoli, su proposta dei Seggi dei nobili e del popolo, conferirono la cittadinanza onoraria a lui e ai nipoti Ercole de Amicis e Vincenzo di Paride. Nel 1524 dava alle stampe in Napoli un trattato con il titolo di Consilia omnibus tam in Foro quam in Scolis versantibus, nel quale raccolse le massime giurisprudenziali e dottrinarie dei maggiori legisti del tempo.
L'opera, per l’interesse che destò, ebbe una seconda edizione, stampata a Venezia nel 1577. Giovanni de Amicis può considerarsi, in ordine di tempo, il primo storiografo venafrano per avere illustrato nel Consiglio 101, riguardante una lite giudiziaria vertente tra San Pietro Infine e Venafro, le origini e le prerogative della sua città, alla quale rimase sempre legato, per sentimenti e per presenza. Infatti, vi si ritirò a vivere gli ultimi anni di vita e vi morì in età assai avanzata. Fu sepolto nella cappella di famiglia della chiesa di S. Francesco. Di lì la sua tomba fu poi rimossa e collocata nella sagrestia, dove si legge un epitaffio che potrebbe essere stato dettato da lui stesso.
Antonio DE BELLIS
Antonio de Bellis è stato il più generoso tra i benefattori di Venafro per aver destinato l'intero suo cospicuo patrimonio ad opere pie, con finalità caritative, in un'epoca in cui le istituzioni pubbliche non riservavano risorse né iniziative all'assistenza sociale. Nato il 7 ottobre del 1657 da modesti genitori, fu mantenuto agli studi in Roma da una famiglia benestante venafrana della quale non si conosce il nome. Abbracciata la carriera ecclesiastica, si laureò in teologia e in entrambi i diritti. Fu Protonotario apostolico; per sei anni fu vicario generate dell'Abbazia di S. Vincenzo al Volturno; per diciotto anni vicario generate del vescovo Carlo Massa (1691-1710); per nove anni vicario capitolare della diocesi di Venafro e poi Primicerio della Cattedrale.
Nel 1700 aprì due corsi scolastici, uno maschile e l'altro femminile, assumendosi l'onere della retribuzione degli insegnanti, poi consolidato con lascito testamentario. Nel 1702, per l’impianto di una biblioteca pubblica al servizio della cittadinanza, donò il suo patrimonio librario, che collocò nel Convento dei Carmelitani, affidandone la gestione a quei monaci. Con testamento del 15 dicembre 1729, istituì una fondazione, che assunse il nome di Pia Eredità De Bellis, per l'amministrazione dell'intero patrimonio e fondò le congregazioni del SS. Rosario e della Vergine Addolorata. Morì a Venafro il 12 gennaio 1730
Battista DELLA VALLE
Uomo d'arme, nato a Venafro nel 1470. Fu un tecnico dell'arte militare in un momento in cui, con l'adozione delle armi da fuoco, gli apparati difensivi ed offensivi subivano radicali trasformazioni. Nel 1519, mentre era al servizio di Francesco Maria della Rovere, comandò la piazza d'armi di San Leo, quando fu attaccata dalle truppe pontificie. Tra il 1519 e il 1525 si ritirò a Venafro, ma nel 1528 lo si trova a combattere nella battaglia di Pavia, al servizio di Carlo V, dove rimase ferito. Nel 1538, per incarico di Guidobaldo II della Rovere, progettò e diresse le opere di fortificazione di Gubbio. Godette fama e popolarità con un fortunato manuale di arte militare, intitolato Il Vallo. La prima edizione, uscita a Venezia nel 1521, ottenne un tale successo che ne furono fatte numerose ristampe.
L'opera tratta dei sistemi di fortificazione delle città, delle disposizioni tattiche, dell'adozione delle macchine belliche e dell'uso delle bocche di fuoco, con una competenza apprezzata dai più celebri esperti del tempo.
Essa, sia pure con rozza semplicità espositiva, si poneva tra l'Arte della guerra del Machiavelli, che propugnava una riforma politico militare e il De re militari del Valturio, ricco di erudizione classica. Francesco de Marchi, allora autorevole architetto, annovera il della Valle, assieme ad Alberto Durero e a Leon Battista Alberti, tra i più accreditati scrittori della materia. Alla fine dei suoi anni fu al servizio dei principi Orsini e pare sia morto, nel 1550, nel loro castello di Bracciano.
Cosmo DE UTRIS
A Cosmo de Utris, giureconsulto nato a Venafro nel 1750 ed ivi morto il 26 agosto del 1834, spetta il merito di avere scoperto e per primo di avere decifrato la celebre Tavola Acquaria; lapide recante un decreto, unico del genere, dell’ imperatore Augusto contenente le norme che regolavano l'adduzione e la distribuzione idrica dell'Acquedotto romano.
Tale monumento, trovato abbandonato nel territorio di S. Maria Oliveto, era stato, nel 1755, utilizzato dai fratelli Giacomo e Benedetto de Utris come stipite dell’ingresso nella costruzione di una casa di campagna. Il De Utris ne comprese l'importanza e ne fece una prima trascrizione, poi integrata e completata dagli archeologi Mommsen e Garrucci.
Al merito di questo ritrovamento aggiunge quello di aver lasciato sette volumi manoscritti, con il titolo L'Antica Venafro o sian gli Annali di essa, nei quali percorre la storia d’Italia, dall’età dei Fenici fino al 1732. Di particolare interesse sono i numerosi documenti riguardanti Venafro che egli vi strascrisse, i cui originali sono andati poi perduti. Di pari interesse è una silloge di lapidi antiche che costituisce appendice al settimo volume, sotto il titolo di Iscrizioni venafrane.
Antonio GIORDANO
Antonio Gìordano, nome tanto illustre quanto poco noto alla cultura storica e politica contemporanea, fu più comunemente conosciuto come Antonio da Venafro. Era nato nel 1459 e dopo essersi trasferito a Siena, vi si laureò in entrambi i diritti. Nel 1488 era giudice di appello e docente di quella Università. Fu tra coloro che prepararono l'ascesa al potere di Panldofo Petrucci che, una volta insignoritosi della città, lo scelse a proprio consigliere e lo nominò suo primo ministro. E' in tale veste che il Giordano si procurò fama di illuminato statista, meritando l'apprezzamento del Guicciardini, del Vettori e del Machiavelli. Da Pandolfo Petrucci gli furono affidate importanti missioni diplomatiche presso papi e governanti.
Nel 1516, caduto Borghese Petrucci, che era succeduto al padre, si ritirò a Venafro, rimanendovi fino al 1519. In quei pochi anni fu al servizio del feudatario della città, il conte Enrico Pandone, come suo governatore e vicario. Trasferitosi a Napoli, fu nominato membro del Consiglio Collaterale e impiegato in una missione presso Clemente VII nel 1525. Nella capitate del vicereame insegnò diritto civile dal 1519 al 1526 e vi morì nel 1530, ottenendo, nella chiesa dei SS. Severino e Sossio, onorata sepoltura in una tomba tuttora esistente.
Nicandro IOSSIO
Scarse e imprecise sono le notizie biografiche di Nicandro Iossio. Nacque a Venafro nella seconda metà del secolo XVI e visse fino all’ultimo decennio del secolo. Da alcuni atti notarili, si sa che nel 1584 aveva già conseguito il dottorato in “medicina fisica” e nel 1590, mentre era sindaco, assunse in proprio, insieme ad altri possidenti, un debito di 500 ducati "per sovvenire la Città né suoi bisogni", quando l'Università stava ancora pagando lo sforzo finanziario al quale si era sottoposta per riscattarsi dalla soggezione feudale del marchese Ambrogio Spinola. Nel 1595 era già morto, risultando che suo figlio Benedetto, nato dalle nozze con Lucia Bruno, si trovava affidato alle cure dello zio Giovanni Antonio, che Nicandro aveva nominato esecutore testamentario.
La sua notorietà è legata ad un'opera filosofica che dedicò al conte prelato Don Giovan Battista Billio, cameriere del papa Gregorio XIII, e che pubblicò in Roma nel 1580 sotto il titolo di Opuscula de voluptate et dolore, de risu et fletu, de somno et vigilia. de fame et siti. L’opera, che si rifà in larga parte alla filosofia aristotelica, per il Dumont (Sec. XIX) avrebbe anticipato la teoria del grande Cartesio, per quanto attiene al carattere conoscitivo delle facoltà sensoriali. Il libro incontrò l'interesse anche degli ambienti culturale transalpini, tanto è che nel 1603 ne fu stampata una nuova edizione a Francoforte.
Francesco LUCENTEFORTE
Nato a Venafro il 17 luglio 1811 dal notaio Giambattista e da Clementina di Monaco, fu primicerio della Cattedrale. Fu appassionato cultore di storia patria e nel 1576 donò al Museo preistorico di Roma, appena istituito, una collezione di arnesi litici, repertati nel territorio venafrano e che costituiscono una interessante testimonianza della civiltà neolitica a Venafro. Tra questi un'amigdala di eccezionali dimensioni, sulla quale si sono soffermati illustri studiosi dal Pigorini al Radmilli. Fu autore di alcune pubblicazioni, quali: Gli ulivi di Venafro e Mura pelasgiche di Venafro.
L'opera che gli dà maggior lustro è la Monografia fisico economico morale di Venafro in tre volumi, con la quale affronta la problematica storica della città nelle sue tre componenti fondamentali: lo stato fisico, quello economico e quello intellettuale, con un taglio certamente moderno per i tempi in cui scriveva. Fu socio di alcuni prestigiosi istituti culturali e in strette relazioni con Guglielmo Hentzen, dell'Istituto Archeologico Germanico di Roma. Lo stato ecclesiastico non gli impedì di professare sentimenti liberali e di manifestare aperta opposizione alla Monarchia borbonica, come era nelle tradizioni della sua famiglia. Morì a Venafro i1 23 marzo 1882.
Leopoldo PILLA
Il vasto materiale bio bibliografico isponibile e 1'enfatizzazione della storiografia risorgimentale, fanno di Leopoldo Pilla il più conosciuto degli uomini illustri di Venafro, dove nacque il 20 ottobre 1805 da un altro uomo d'ingegno: Nicola Pilla, medico e naturalista, il quale lo avviò agli studi scientifici. A quattordici anni fu mandato a Napoli per seguire i corsi di Chimica, Fisica e Mineralogia. Nel 1829 si laureava in medicina e poi in chirurgia. Nel 1837 veniva inviato, dal governo borbonico, in Germania, assieme ad altri scienziati per motivi di ricerca.
Dopo questo viaggio si dedicò agli studi di geologia e si produsse in una serie di pubblicazioni che incontrarono l'interesse dei cu1tori della materia. A Napoli aprì una scuola di geologia e fu lettore nell'Accademia Pontaniana.
Ma il governo borbonico, tenendolo in sospetto per le idee liberali che venivano attribuite al padre, non gli consentì di ottenere quei riconoscimenti che il suo ingegno meritava, nonostante la sua fama avesse varcato i confini del Regno di Napoli. Nel 1841, infatti, il Granduca di Toscana, lo chiamò ad occupare la cattedra di Geologia e Mineralogia a Pisa. Qui ebbe un periodo di intensa attività scientifica, oltre che didattica, dando alle stampe numerose opere. Ma l'impegno degli studi non gli impedì di partecipare alle cospirazioni per l'indipendenza nazionale, che in quegli anni fervevano in tutti gli stati italiani. E quando, nel 1848, scoppiò la guerra contro l'Austria, si arruolò volontario nel Battaglione Universitario toscano per morire da eroe, il 29 maggio, nella storica battaglia di Curtatone.
Tommaso ROCCA
Tommaso Rocca visse tra la seconda metà del secolo XVI e il primo decennio del successivo. Apparteneva ad una delle famiglie della borghesia possidente venafrana di quell'epoca e frequentò il corso di medicina fisica a Napoli, dove conseguì il dottorato, rimanendovi ad esercitare la professione con notevole profitto scientifico. Infatti, la celebrità che si guadagnò (il Toppi lo definisce "medico famoso “) fu tale che il Cappellano maggiore Don Pietro Giovanni Maria Roderigo, cui competeva la proposizione dei docenti universitari, lo segnalò al viceré Don Giovanni d’Aragona che nel 1507 gli affidò l'insegnamento di Teorica della medicina, che ricoprì fino al gennaio del 1509, probabile data della sua morte
Dattilo ROCCIA
Dattilo Roccia appartiene a un gruppo familiare di musici venafrani, vissuti nei secoli XVI e XVII. Suo padre Aurelio, trasferitosi a Napoli per perfezionarsi negli studi musicali, fu uno dei primi membri della Corporazione dei musici sorta nel 1569 in quella città.
Dattilo, nato tra il 1570 e il 1580, seguendo le orme del padre, dello zio Plinio, del cugino Francesco e del fratello Vespasiano, anch’essi musici apprezzati, ebbe largo successo sia come cantore che come compositore. Fu contralto nella cappella della SS. Annunziata di Napoli dal 1592 al 1594 ed ebbe per allievo il madrigalista G. Battista Petrilli da Vasto. Nel 1603 pubblicava a Napoli una raccolta di 21 madrigali a cinque voci, sui versi del Marino, Tasso e Guarino. Nel 1608 pubblicava il Primo libro dé madrigali a 4 voci con gli editori Giacomo Carlino e Costantino Vitale che dedicò al suo allievo G. Battista Pistilli, divenuto ormai un noto madrigalista. Nel 1617 apparve la sua ultima composizione con il Libro dé madrigali a 5 voci.
Il suo nome, rimasto fin ora ignorato dagli storici locali, figura nelle più prestigiose enciclopedie musicali, non solo italiane ma anche straniere, come The New Grove Dictionary ( Londra 1980), Die Music in Geschichte und Gegenwart (Basilea 1963) e Bibliographie der Musiksammelwerke (Berlino 1877).
S. ORMISDA
Quando fu eletto pontefice, il 26 luglio del 514, Celio Ormisda era vescovo e padre di un figlio, Silverio, che nel 536 sarà anch’egli papa. La sua patria è contestata tra Venafro e Frosinone, di cui ormai lo considerano originario tutti gli attuali storici della Chiesa, ma senza alcun fondamento obiettivo. E’ da notare però che fino al secolo XVIII la maggior parte degli autori si limitava a qualificarlo genericamente “campanus” e, accanto ad una minoranza che lo riteneva frusinate, non mancarono di quelli che lo accreditavano per venafrano. Tra i più noti si segnalano il Pagi (1525), il Panvinio (1557), il Mazzella (1586), il Regio (1595), il Cherubino (1655), il Ciacconio (1677), il Bernino(1706), l’Ughelli (1720).
Questi autori, attingendo alla fonte più remota, il Liber Pontificalis risalente al VI secolo, ritennero di potere affermare che Frosinone non fu patria di Ormisda, bensì di Giusto suo padre. L’antico codice, infatti, si esprime così:”Hormisdam natione campanus ex patre Justo de civitate Frosilone”.
A rilanciarne il culto a Venafro fu il Primicerio De Bellis (v. alla voce) che nel 1701 gli eresse un altare e ne diffuse la celebrazione di cui ormai si è perso il ricordo.
Lucio SANTABARBARA
Figlio del celebre Amico da Venafro (v. alla voce), ne seguì le orme e a soli sedici anni si trovò a combattere al suo fianco durante l'assedio di Firenze del 1530. Giunse al grado di capitano di compagnia in giovane età e, benché non provato, taluni gli attribuiscono l'invenzione della santabarbara sulle navi da guerra.
Negli anni in cui non fu in giro per l’Italia, al servizio di questo o quel capitano di ventura, visse a Venafro, dove è segnalato in numerosi documenti attestanti la sua partecipazione alla vita pubblica locale e la sua prestigiosa presenza tra i cittadini più eminenti. Infatti, rivestì più volte la carica di sindaco o di eletto della città. Fu imparentato con le più nobili famiglie venafrane, sposando nel 1532 la figlia di Vincenzo di Paride e nel 1548 Margherita dei baroni Montaquila.
Morì il 4 luglio del 1550, all'età di 36 anni, per le ferite riportate mentre si trovava nella chiesa dell'Annunziata, dove fu proditoriamente aggredito da Massenzio Valletta e Francesco di mastro Rosato. Lo zio Paolo gli dedicò, nella stessa chiesa, una iscrizione lapidea, non più esistente ma il cui testo ci è stato conservato dal Ciarlanti, nella quale se ne celebravano i meriti e se ne deprecava la tragica fine.
SILVANO da Venafro
Nel 1533 gli editori napoletani Antonio Iovino e Matteo Canzer pubblicavano I1 Petrarca col commento di M. Sylvano da Venaphro. In quel secolo era ancora e più che mai in uso la consuetudine medievale di identificarsi onomasticamente nella propria patria di origine ed il Minieri Riccio, nelle sue Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli (1844), dando un arbitrario significato alla M. che gli editori fecero precedere al nome e che stava per Messere, attribuisce all'autore il prenome di Marco, ritenendo che Silvano fosse il cognome.
In realtà il nostro altri non era che Giovanni Bellini, al quale, nel 1530 Pompeo Colonna, feudatario di Venafro, donava un orto della Corte baronale.
Con quell'opera Silvano si assunse il compito di illustrare quei sonetti e canzoni che, a suo parere, o erano stati trascurati perché a torto ritenuti di facile lettura o non erano stati correttamente interpretati. Alla luce dei successivi studi e degli odierni approfondimenti critici, il lavoro mostra i suoi limiti, ma nella prima metà del Cinquecento, in epoca, cioè, di imperante Petrarchismo, rispondeva agli interessi dei cultori di belle lettere.
Paolo SPERDUTI
Nel 1702 Cristoforo Sperduti, di Arpino ma dimorante a Venafro, si unì in matrimonio con Diana Graziano e andò ad abitare in parrocchia di S. Giovanni in Platea. Un Luca, probabile suo figlio, nell'agosto del 1724 sposava, nella stessa chiesa, la vedova Margherita Carrola e da costoro si ebbe il nostro Paolo. Frequentò Roma, dove fu allievo del pittore Agostino Masucci e nei 1758, ancor giovane, gli furono commissionati gli affreschi della volta e del coro della chiesa dell'Annunziata di Venafro, che portò a termine 1' anno seguente.
All'infuori di questo ciclo di dipinti non se ne sono fin ora identificati altri attribuibili al suo pennello. Ma la sua produzione non può, ovviamente, considerarsi limitata ai detti due anni di attività, anche se questa è tale, per dimensione ed impegno, da consentire un giudizio di validità artistica meritevole di un esame critico più approfondito, rispetto a quanto non sia fin ora avvenuto. Infatti il suo nome compare in una lettera che Luigi Vanvitelli, nel 1722, scriveva alla giunta degli Allodiací per segnalarlo tra coloro che erano da chiamare a decorare la Reggia di Caserta, dove, in quello stesso anno risulta che lavorasse, assieme ad altri artisti napoletani, tra i quali Giacinto Diano che l’anno prima aveva firmato una delle tre tele dell’Annunziata di Venafro.
Ludovico VALLA
Nacque nell'aprile del 1629 da Antonio, che da Prata si era trasferito a Venafro in occasione delle sue nozze con Antonia Martucci. Addottoratosi in "arte medica", nel 1656 era uno dei cinque medici che 1' Università reclutò per far fronte all'epidemia della peste. Dalla sua unione con una Mancini ebbe tre figli che non gli sopravvissero. Rimasto vedovo, abbracciò 1a vita ecclesiastica e mori, da Primicerio della Cattedrale, il 31 dicembre 1698.
Erudito e scrittore di memorie patrie, merita di essere ricordato per alcuni interessanti lavori che purtroppo sono rimasti, tranne uno, inediti e consentirono ad alcuni contemporanei di esercitarsi in narrazioni che sono da considerare veri e propri plagi dell'opera sua.
L’opera più. notevole è una Storia di Venafro della quale si conoscono tre copie manoscritte. Essa fu pubblicata nel 1905 a cura di Ferdinando del Prete di Belmonte per celebrare il 1° Centenario della nascita di Leopoldo Pilla (v. alla voce). Di particolare interesse storico locale è anche l’opuscolo Memoria della Peste del 1656, che egli visse di persona come medico, il cui apografo di pugno del suo contemporaneo Giovanni Antonio Monachetti, è stato scoperto soltanto di recente e pubblicato nel 1975 nell’Almanacco del Molise. Infine, va segnalato un altro suo manoscritto che rievoca il martirio dei santi protettori di Venafro con una tragedia in cinque atti intitolata Venafro convertita.