I Monumenti
Gli anfiteatri, sistemati ai limiti della città, all’esterno , e a diretto contatto con il territorio da cui evidentemente veniva la maggior parte di spettatori, ospitavano i giochi gladiatorii.
L’anfiteatro costituiva uno degli elementi più importanti della città ed a Venafro è riconoscibile oggi, con assoluta sicurezza, in quel complesso che da molti secoli, viene chiamato “ Verlasce “.
Dall’esame delle strutture attualmente esistenti, che sono il risultato di una sovrapposizione di corpi di fabbrica medioevali e seicenteschi all’originario impianto romano, si possono ricostruire la sua forma e le sue dimensioni.
L’ellisse che costituiva il perimetro esterno aveva il diametro maggior e di circa 110 metri e quello minore di circa 85 metri.
Tra gli esempi consimili quello che più si avvicina alle dimensioni dell’anfiteatro venafrano è quello di Lucca che oltre alle dimensioni presenta una affinità anche nelle sovrapposizioni e nel nome. Verlasce per Venafro e Parlascio per Lucca.
L’arena, anch’essa ellittica, doveva avere i diametri rispettivamente di 60 e 35 metri circa.
Le gradinate si sviluppavano per una superficie di circa 4.000 metri quadrati con la possibilità di accogliere circa 15.000 spettatori. La costruzione era impostata staticamente su 68 cunei con volta a botte tronco - conica. Segni dei cunei attualmente sono ben visibili nei punti d’accesso alla piazza e permettono anche di ricavare l’inclinazione delle gradinate.
Sebbene di dimensioni notevoli, il che ci indica una popolazione almeno doppia rispetto all’attuale del territorio venafrano, il complesso non doveva essere di particolare interesse architettonico data l’impostazione approssimativa delle murature e data la l’assenza di paramenti, almeno esterni in pietra.
Osservando la stampa del Pacichelli troviamo il Verlasce situato fuori le mura e viene definito “Coliseo”. L’antico anfiteatro romano nel corso dei secoli aveva mutato funzione e nome. La sua collocazione in una precisa epoca non è possibile visto che esso costituisce un eccezionale documento di sovrapposizioni architettoniche, tutte funzionali a particolari situazioni socio - economiche che fanno di esso un elemento sempre vivo e significativo nella storia della città.
Vari elementi attestano la sua esistenza nella forma attuale nel XVII secolo e tra essi vi è una pietra che data una delle stalle 1624.
Perduta la sua funzione originaria di anfiteatro romano, il Verlasce diventa il centro di una economia pastorale e contadina che dal medioevo in poi vi si sviluppa.
Della sua forma iniziale resta solo l’ellisse che diventa un vero e proprio punto di riferimento nel territorio.
Il complesso di sicuro, dunque, si è completato nella forma che si vede oggi solo nel XVII secolo, mediante l’aggregarsi di piccole stalle a tipologia unica, con il ricovero per gli animali e gli attrezzi a piano terra e il fienile al piano superiore.
Il Teatro Romano
Testimonianza del livello di benessere raggiunto dalla città romana è la presenza di quelle che oggi chiamiamo infratstrutture per la collettività. A ridosso dell'ultimo decumano, tra la Cattedrale e il Convento di S. Francesco, a mezza costa troviamo i resti di un importante teatro con accanto l'odeon. Il teatro nella sua prima fase era costituito da una gradinata che poggiava direttamente sul pendio della montagna. La gradinata era conclusa in alto da un portico e tutto il teatro comprendeva una ima e media cavea. Il tutto era realizzato in opera reticolata con elementi calcarei di grandi dimensioni. Successivamente il teatro, probabilmente per l'aumento della popolazione e del bacino di utenza che gravitava attorno a Venafro, il teatro venne ampliato. Quest'ampliamento si legge nella dimensione della pezzatura degli elementi utilizzati e soprattutto nella diversità del materiale utilizzato: il tufo. L'ampliamento comprende la realizzazione dei tribunalia, delle scale di accesso e della summa cavea. La gradinata poggiava su poderose strutture murarie di sostegno ed il tutto è databile non oltre il 96 d.C.. Realizzati due ampi spazi a lato della scena, il teatro di Venafro si poneva tra i più grandi dei teatri romani. Interventi successivi portarono a realizzare sul piazzale occidentale un portico con colonne ioniche ma tra le aggiunte di maggior rilievo troviamo il grande emiciclo realizzato a lato della struttura scenica. Realizzato interamente in laterizio nell'edificio sono in molti a riconoscere un ninfeo. La trasformazione della zona occidentale del teatro si rese necessaria per realizzare dei giochi d'acqua, e tutte le opere a ciò necessarie, nell'orchestra. A questo scopo l'intera orchestra venne protetta da un alto parapetto. L'abbandono e il conseguente declino del teatro può essere riconducibile al drammatico terremoto del 234 d.C.. Il ritrovamento, all'inizio del secolo, nelle vicinanze del teatro si alcuni ambienti affrescati e pieni di materiale proveniente dal teatro e ben depositato, fa pensare che comunque si pensava ad un ripristino della piena funzionalità del teatro. Purtroppo l'intera struttura fu utilizzata, nei secoli a venire, come una cava a cielo aperto che forniva elementi lapidei già squadrati ed utilissimi per la costruzione di case private e monumenti.
Le Mura ciclopiche
Assolutamente non si conosce nulla dell’origine e della funzione avuta nel passato. Ognuno che si è cimentato per cercare di darne una descrizione è finito per arrivare a descrizioni fantasiose.
Tra le ipotesi più valide troviamo quella che suppone si tratti di una villa o di un luogo di culto di epoca sillana ( II secolo a. C.). Entrambe potrebbero essere valide.
I terrazzamenti ai vari livelli sono costituiti da muratura poligonale ad andamento rettilineo e nel ripiano più elevato sono di notevole grandezza mentre quelli inferiori sono costituiti da elementi anch’essi poligonali ma più rozzi.
Il fatto che oggi tale luogo sia dedicato alla Madonna della Libera ci fa ritenere probabile che nel luogo vi fosse situato un tempio forse dedicato alla dea Libera. L’importanza di tale edificio dovette essere tale che quando al culto pagano si sostituì quello cristiano si volle conservare il ricordo della primitiva religione.
A monte delle mura ciclopiche vi è una vasca di raccolta di acque. Nessun cunicolo si intravede ad essa collegato, ma non è da escludere che la cisterna fosse collegata all’acquedotto romano.
La Torre del Mercato
La Torre del Mercato rappresentava uno dei punti principali del sistema difensivo della città e ad essa era attaccata la porta principale per chi proveniva dal Sannio.
Dalla stampa del Pacichelli e dal disegno del Monachetti si ricava che tale porta ancora esisteva nel XVII e XVIII secolo.
La torre era protetta da un fossato, oggi interrato, di cui non si hanno tracce. Probabilmente ciò è avvenuto nel 1841 quando si costruì la Casa Comunale, posta di fronte alla torre, e la piazza ad essa antistante. Con il riempimento del fossato scomparvero le feritoie che essendo poste a difesa del fossato erano al disotto dell’attuale piano di calpestio. Esse sono però perfettamente conservate all’interno della torre e sono in numero di sei, anche se due di esse sono state murate per la realizzazione di un forno.
Alla torre si poteva accedere o dall’interno della città oppure direttamente dall’esterno mediante un piccolo ponte levatoio, eliminato e sostituito da una scala, di cui rimangono le guide in pietra.
La torre era difendibile sui quattro lati mediante il lancio di proiettili attraverso serie di aperture collocate su diversi piani di lancio.
La torre nel tempo ha subito diverse modifiche, specialmente la variazione di altezza delle finestre ai piani superiori e l’aggiunta nel XIX secolo di due portali al piano terra. Tuttavia è rimasta ben conservata nei suoi caratteri architettonici anche se necessita di urgenti interventi di manutenzione.
Probabilmente in essa abitava il Capitano del Popolo di cui si parla negli Statuti di Venafro. Successivamente, con l’acquisizione della città da parte di Francesco Caracciolo, duca di Miranda, la torre prese il nome di Palazzo Caracciolo, ma per i Venafrani è rimasta la “Torre del Mercato”.
Il Castello
Situato ai limiti nord-occidentali della Venafro romana, trae origine da una il primo nucleo era una fortificazione megalitica trasformata successivamente nel mastio quadrato longobardo. Tale trasformazione avvenne quando il conte Paldefrido vi pose la sua sede X secolo.
Nel XIV secolo, al mastio quadrato, furono aggiunte tre torri circolari e la braga merlata.
Trasformato completamente nel XV secolo dai Pandone, signori di Venafro era difeso su tre lati da un grande fossato alla cui realizzazione fu coinvolta l'intera popolazione. Il fossato non venne mai del tutto completato per via di una rivolta popolare che reclamava le cattive condizioni in cui era costretta a lavorare.
Al castello si accedeva attraverso un ponte levatoio ad ovest e una postierla ad est. Postierla che permetteva l’accesso di un cavaliere alla volta e pertanto poteva essere controllata da una sola guardia.
Enrico Pandone lo trasformò in residenza rinascimentale aggiungendovi un magnifico giardino all'italiana, un arioso loggiato e facendolo affrescare con le immagini dei suoi poderosi cavalli. I cavalli per il conte rappresentavano la sua attività principale.
Ancora oggi i ritratti di cavalli in grandezza naturale, in numero di ventisei e realizzati in leggero rilievo, decorano tutto il piano nobile e costituiscono un’esclusiva per il castello di Venafro.
Nella sala dei cavalli da guerra primeggia la sagoma del cavallo San Giorgio, donato da Enrico a Carlo V. Enrico rimase sempre devoto a Carlo V fino alla discesa di Lotrec dalla Francia. Carlo V ebbe la meglio sul francese e il tradimento costò ad Enrico la decapitazione in Napoli. Al di sotto del piano di ronda un camminamento con feritoie permetteva il controllo del maniero dal piano del fossato. Il camminamento è interamente percorribile.
Nel XVII secolo il Castello, dopo essere stato della famiglia vicereale dei Lannoy, passò ai Peretti-Savelli, familiari di Sisto V, e nel secolo successivo alla potente famiglia dei di Capua.
Giovanni di Capua lo trasformò il castello nella sua residenza in vista del matrimonio che avrebbe dovuto contrarre con Maria Vittoria Piccolomini, agli inizi del Settecento. Grandi lavori furono intrapresi tra cui la rimozione di gran parte dei cavalli fatti realizzare da Enrico Pandone.
Matrimonio che rimase un sogno per l’immatura scomparsa di Giovanni. Lo stato avanzato dei preparativi per tale evento aveva portato a concretizzarlo nel grande stemma, che è ancora nel salone, dove l'unione dei blasoni delle due casate ricorda un avvenimento che non è mai accaduto.
Dopo anni di lavori di restauro, che come tutti gli interventi ha momenti felici e meno felici, il Castello di Venafro ospita convegni e mostre e può essere visitato ogni giorno.
La Via per Dentro
Tra le cose più interessanti vi è il fatto che tutto l’impianto urbano medioevale dipenda direttamente dal preesistente tracciato cardo-decumanico romano che se da una parte condiziona gran parte dello sviluppo, dall’altra è usato in maniera tale che il carattere medioevale dell’intervento la riutilizzi per finalità spaziali completamente diverse.
La forte incidenza del potere ecclesiastico, l’importante organizzazione delle confraternite laicali e il potere dei signori che si sono avvicendati nel dominio della città, sono i tre elementi fondamentali che caratterizzano il disegno urbano e i riferimenti formali a livello di segno architettonico. Ogni elemento perciò, al di là dei propri valori architettonici, concorre a formare il senso della città e a giustificare il particolare sviluppo del proprio tessuto.
Lo studio della crescita organica di tale tessuto ci fornisce tanti elementi che non possono farci considerare gli interventi stessi episodici o casuali.
La via Plebiscito, popolarmente chiamata la “via per dentro” ne è uno degli esempi maggiori.
Essa fino al periodo ante-guerra costituiva la spina principale del nucleo medioevale, presentando una buona attività commerciale nelle due lunghe file di botteghe allineate sui fronti. Il suo carattere preminentemente commerciale risulta evidente dalle tipologie edilizie delle case che su essa si affacciano, essendo realizzate in maniera da presentare botteghe a piano terra e abitazione ai piani superiori.
Tali tipologie, di origine medioevale, si sono conservate anche dopo il XVIII e XIX secolo quando gli interventi borghesi si sono sviluppati accorpando più case per realizzarvi i palazzi padronali, che tuttavia non hanno modificato sostanzialmente l’impianto.
Ma soprattutto è da notare che tali interventi successivi non hanno modificato l’impianto generale della via che sostanzialmente è rimasto quello del XV e XVI secolo.
La “via per dentro” risulta sovrapposta per tutta la sua lunghezza a un decumano romano, probabilmente il maggiore, da cui rimane condizionata nell’allineamento generale non tanto per il tentativo di avere una strada rettilinea, quanto piuttosto per la possibilità di utilizzare come fondazioni delle nuove case i muri affioranti delle preesistenze romane e soprattutto per la possibilità di innestare gli scarichi nell’antica cloaca ancora oggi perfettamente funzionante. Della strada romana perde il carattere di collegamento tra le due porte principali e tende a spezzarsi in una serie di percorsi e di spazi, chiusi o aperti, in funzione degli elementi di riferimento laterali che si andavano creando nel tempo con la costruzione di chiese e conventi.
Percorrendo la via dalla ex porta del Mercato, l’allineamento preesistente delle case romane si spezza in particolare in due punti con l’avanzamento di due corpi di fabbrica che venendosi a porre sul tracciato originario interrompono l’andamento rettilineo individuando e sollecitando la possibilità e l’esistenza di percorsi laterali che altrimenti sarebbero nascosti o poco notabili.
Il primo di questi percorsi laterali si pone in funzione della chiesa di S. Agostino che ne costituisce il riferimento e la chiusura prospettica evidente, assorbendo su di essa l’asse visivo. Tale effetto è accentuato dalla particolare forma della strada in cui le facciate non sono parallele, ma si vanno allargando tra loro, verso la chiesa, a formare un cono ottico che fa sembrare la chiesa stessa più vicina al punto di osservazione della “via per dentro”.
Il secondo percorso laterale è individuato dall’avanzamento della facciata laterale del palazzo De Bellis e conduce direttamente alla facciata della chiesa di S. Antuono che anche in questo caso ne diventa il riferimento prospettico e conclusivo.
Altro elemento importante della via è la chiesa di S. Angelo, costruita nel 1613. La chiesa in realtà sembra inserita casualmente tra le facciate delle case, ma in realtà si pone come conclusione visiva di un vicolo che si innesta da nord sulla via per dentro. Tale vicolo risulta oggi cieco, ma dall’esame delle carte risulta chiaro che in epoca medievale fosse collegato all’attuale vico Porta Guglielmo a formare un’unica via. Questa via aveva certamente anche una certa importanza per la presenza su di essa della chiesa di S. Benedetto con l’annesso convento. L’interruzione della via è databile alla fine del 700 con la nascita di palazzo Colicchi.
Ancora un’altra via si pone in funzione di una chiesa o viceversa: la via dei gradini di San Giovanni comunemente conosciuti dal popolo come “i ruare re Sante Janne”.
Della chiesa di San Giovanni rimane solo il nome della strada che ad essa conduceva; infatti il monumento è stato inglobato nel XVIII secolo in quella parte del palazzo Nola-Macchia che è in asse con tali gradini. Questa chiesa concludeva inoltre con la facciata laterale un’altra via, oggi in parte scomparsa, corrispondenta a vico I Porta Guglielmo. Anche in questo caso la scomparsa della via è stata determinata dalla nascita del palazzo Del Prete, alla metà del XIX secolo. Lo confermano il portone, l’atrio e il cortile che corrispondono esattamente all’asse dell’originario percorso pubblico.
Percorrendo “ la via per dentro” a ritroso, il palazzo Martino, in corrispondenza della via che porta a S. Agostino, individua un asse opposto alla chiesa e che oggi si conclude con un vicolo cieco. Dagli allineamenti catastali e da tracce di selciato nei fondi di palazzo Nola, è possibile dire con certezza che a tali allineamenti corrispondeva, almeno fino al XV secolo una strada che collegava la chiesa di S. Agostino alla piazza del Palazzotto, passando al lato della prima chiesa di Cristo. Da questi elementi risulta chiaro il cambiamento che la strada ha subito nel tempo, passando da decumano, espressione della cultura estroversa romana, a “via per dentro”, canale di un messaggio introverso e quindi medievale, finalizzato esclusivamente ad un discorso ove l’atto formale religioso è l’elemento socializzante della comunità.
Come spesso accade dopo avvenimenti devastatori, l’opera di ricostruzione produce, quando è fatta con criterio, episodi architettonici ed urbanistici migliori.
Certamente l’opera di ricostruzione, iniziata dopo il violento terremoto del 1349, si protrasse per tutto il secolo seguente, associando alla crescita architettonica una quantità di fenomeni sociali di riorganizzazione che trovano tra l’altro una interessante espressione nella formazione delle confraternite laicali.
Siamo anche nel momento in cui c’è un risveglio delle attività economiche e dei commerci e quindi come logica conseguenza troviamo l’evidenziarsi delle differenze di classe e l’evidenziarsi dei ruoli politici.
A livello architettonico il potere del signore si manifesta sempre, anche a livello psicologico, con la presenza del castello urbano che si trasforma e si accresce accentuando il peso del suo volume con l’aggiunta della braga merlata; l’acquisizione delle armi detonanti, che pure dovevano incutere timore già con il solo rumore, non può essere considerata come la principale responsabile del potenziamento del castello. Tra le cause appare la necessità di inquadrarla in una visione globale di tutto il sistema economico della penisola italiana.
La Torricella
Ponendosi di fronte alla montagna di Venafro volgendo lo sguardo ad ovest è possibile scorgere i ruderi di un’antica torre. Molte sono le leggende che si narrano su di essa e addirittura qualcuno dice che al suo interno è custodito il tesoro del diavolo. Per i venafrani è la “trcella” e svetta sul picco di una roccia calcarea. Probabilmente era capace di ospitare una guarnigione di soldati pronti ad avvistare il nemico ai valichi e nella valle o più semplicemente accoglieva al suo interno un gruppo di soldati che da quella posizione privilegiata potevano controllare i pascoli e i boschi.
Da essa partiva il muro che probabilmente cingeva la città romana e tracce di questo sono visibili a valle. Esistente nel periodo romano non sappiamo quando è iniziato il suo abbandono.
Il Monumento ai Caduti
Inaugurato il 18 novembre 1923 è opera dello scultore Torquato Tamagnini. Realizzato con le offerte dei venafrani emigrati in America e con i fondi raccolti dal Comitato Pro Monumento con a capo il vescovo del tempo S.E. Mons. Nicola Maria Merola si trova in uno dei luoghi più suggestivi della città. Di recente è stato posto al suo fianco un altro cippo che ricorda altri caduti durante le guerre.
La Villa Comunale
Situata in quella che per Venafro può essere definita la zona delle fontane ospita al suo interno piante di varie specie, un piccolo parco giochi per bambini e un ruscelletto che si può attraversare mediante un piccolo ponte in legno e sedersi così vicino il suggestivo laghetto.
Realizzata nei primi anni settanta si deve la sua sistemazione al alla ditta del Comm. Oscar Pozzobon. Recentemente è stato realizzato un bocciodromo coperto.
Il Cimitero Francese
È un Cimitero di guerra nel quale sono sepolti soldati francesi, algerini e marocchini. Costruito nel 1945 ad opera del Genio Militare Francese. La Chapelle è opera di André Chatelin, Gran Premio di Roma. Ha un’estensione di 70.000 mq ed ospita oltre la cappella anche un minareto.
La Casa Comunale
Si sviluppa su tre piani che affacciano su piazza Cimorelli e su un seminterrato che da su via Caserta. Realizzato nel 1841 durante l’amministrazione di Benedetto del Prete, i suoi caratteri sono neoclassici. Posto di fronte alla Torre Caracciolo (del Mercato), al suo posto vi era probabilmente un’antica costruzione che insieme alla Torre formavano quella che era l’antica porta della città.
Al piano terra è ospitato il Circolo Leopoldo Pilla una volta circolo dei signori e a lato del portale principale una lapide ricorda la tragica peste del 1656.
All’interno si trova la stanza del Sindaco con la volta affrescata dal maestro venafrano Giuseppe De Marco. Vi è raffigurata l’Italia, rappresentata da una donna seduta con in mano una bandiera.
La sala consiliare è collocato il busto dell’eroe venafrano Leopoldo Pilla.
La Madonna della Libera
Con la ripresa delle attività seguita alle guerre contro Annibale si era verificata l'introduzione di nuove divinità che mediante opportuni adattamenti dei nomi trovavano benissimo posto nella locale cultura. Per questi culti merita di essere citata la chiesetta della Madonna della Libera. Figlia adulterina di Cerere, a Libera venne dedicato il tempio, trasformato poi in piccola chiesa ed eretto dai primi cristiani. Madonna che non esiste nella tradizione cristiana ma l'aver intitolato la chiesetta a Libera fa supporre la forte volontà di mantenere il mito del luogo. Immersa nei verdi olivi di Venafro, posta in un'area terrazzata artificialmente mediante muri a blocchi poligonali dalla tradizione venafrana sono identificati come mura ciclopiche.
Purtroppo il totale abbandono, la mancanza di rispetto della gente verso quello che oltre ad essere un punto di riferimento per la storia era un punto di ritrovo per le generazioni passate, hanno portato la piccola chiesa al crollo totale. Non si è mai pensato ad un piccolo recupero delle strutture murarie e solo debolmente l'affresco della Madonna che sovrastava l'altare continuava ad assistere, fino a pochi anni fa, impotente al declino totale di quella che è per i venafrani la Madonna della Libera e dove ci si ritrova il martedì dopo Pasqua a festeggiare la pasquetta dei venafrani.
La Chiesa di Montevergine
Da un esame delle strutture murarie si può risalire ad una origine medievale della chiesetta. Rimaneggiata nei secoli a venire, sorge su un terrazzamento realizzato con molta probabilità dai romani a sbarramento del canale naturale che discende da S. Croce, oggi è in condizioni molto precarie. Ad unica navata, al suo interno si riconoscono i resti dell'altare principale e di due altari laterali. A sovrastare questi ultimi due, caduti tutti gli stucchi, restano solo i volti in gesso di due putti che insieme allo sguardo triste della Madonna dai grandi occhi che si trova sull'altare principale, assistono al crollo totale e definitivo del loro tempio. La facciata principale presenta un portale principale sormontato da una lunetta. In asse con questo si trova un'apertura di notevoli dimensioni. Ai lati del portale due aperture con grata recano incise nella pietra la data del 1852. Al di sopra di queste due nicchie che probabilmente ospitavano due statue. Nella parte retrostante della chiesa si trova un ambiente che fungeva da sagrestia e da deposito. Il crollo giornaliero delle strutture quanto prima cancellerà nella veduta di Venafro dalla piana la vista di quella macchia gialla e arancio che è negli occhi e nella memoria di tanti venafrani.
La Basilica di San Nicandro
Percorrendo la strada che da Venafro che conduce ad Isernia dopo aver percorso un breve tratto rettilineo ci si trova dinanzi la chiesa di S. Nicandro. Sul perché sia posta fuori dell'abitato restano numerose ipotesi ma la più sentita è quella popolare. Infatti la tradizione vuole che in quel luogo intorno al X secolo sia stato ritrovato il sarcofago contenente le reliquie di S. Nicandro.
La chiesa di S. Nicandro è tra le più antiche costruzioni medioevali della città e l'attuale prospetto, anche se non sono stati cancellati del tutto i caratteri romanici, fa ipotizzare una ricostruzione avvenuta intorno al XIII secolo. La facciata: realizzata interamente in pietra, in origine era a conclusione orizzontale delimitata nella parte superiore da una cornice in pietra. La facciata rettangolare subì una prima soprelevazione databile al cinquecento, anno in cui furono iniziati i lavori di costruzione del convento. Interventi realizzati dopo la seconda guerra mondiale, l'eliminazione della cornice orizzontale che separava la parte originari dalla soprelevazione, la chiusura dell'archetto centrale che ospitava la campana e soprattutto realizzare di nuovo la stessa sopraelevazione e per di più con le stesse pietre della facciata iniziale ha portato a perdere quelle che erano le iniziali proporzioni della facciata. Nel 1949 fu realizzato l'attuale campanile. Le uniche aperture presenti erano il portale di accesso e il rosone centrale in asse con il portale. A queste due si è aggiunta l'apertura sottostante il campanile realizzata in finto romanico. Il rosone circolare è formato da una serie di cornici concentriche e dal centro partono dieci raggi. Il sottostante portale è costituito da una apertura rettangolare formata da elementi in pietra. L'architrave e le sottostanti colonne sono collegate da due mensole. Al di sopra del portale rettangolare una lunetta semicircolare divisa in due parti.
La chiesa fu officiata dai Basiliani fino al 1554, anno in cui Sisto V abolì l'ordine. Per molti anni la chiesa rimase abbandonata a se stessa fin quando con la venuta dei Capuccini a Venafro, 1573, fu realizzato, a spese delle cittadinanza, un convento con sedici celle sufficienti per ospitare i nuovi arrivati. La fondazione fu affidata a P. Giovanni Maria da Tusa. Fu il decimo convento realizzato nella provincia cappuccina di S. Angelo. Papa Gregorio XIII, con Bolla del 10 dicembre 1577, affidava la chiesa ai Padri Cappuccini che la aggregarono al nuovo convento. I frati vi rimasero fino al 1811, anno di soppressione degli ordini monastici e vi fecero ritorno nel 1816. Nel 1867 fu di nuovo chiuso e passò in carico al Comune di Venafro che utilizzò il giardino del convento come cimitero. La custodia venne affidata a due cappuccini e finalmente nel 1870 P. Clemente da Morcone riapriva il convento alla famiglia francescana che tutt'ora vi dimora.
L'interno della chiesa è a due navate e tutti gli stucchi furono realizzati alla fine del 1800.
Nella navata laterale si trova un crocifisso ligneo collocabile tra la fine XIV secolo.
Tutta la parte retrostante l'altare maggiore è costituita da un complesso ligneo intarsiato, opera settecentesca del frate cappuccino, di origine francese, Berardino da Mentone. La parte centrale accoglie il tabernacolo a forma di tempietto e finemente intarsiato. Tutta la composizione ospita tele e tavole su cui spicca la pala centrale attribuita a Dirk Hendrickz, pittore olandese italianizzato in Teodoro d'Errico con la Vergine, il Bambino, S. Francesco e i Santi Nicandro e Marciano.
Al di sotto dell'altare maggiore si trova la cripta che ospita il sarcofago contenete i resti di S. Nicandro. A riportare alla luce il sarcofago e le sepolture di S. Marciano e S. Daria furono due frati cappuccini: P. Leone Patrizio e F. Angelantonio Carusillo. I due cappuccini una notte del dicembre 1930 diedero avvio agli scavi all'interno della chiesa partendo dalla zona davanti l'altare maggiore. La cripta fu definitivamente sistemata nel 1933 da P. Guglielmo da S. Giovanni Rotondo nuovo Superiore del Convento. Secondo una narrazione anche Carlo d'Angiò nel 1268 alla vigilia della battaglia di Benevento avrebbe fatto visita e si sarebbe prostrato dinanzi all'altare della chiesa così come Papa Nicola IV nel novembre del 1290 concesse indulgenza a tutti i visitatori della chiesa. Ogni anno dal sarcofago esce un liquido che il popolo ritiene miracoloso e con tanta passione viene chiamato "manna di S. Nicandro".
Purtroppo anche il cinquecentesco convento non poteva scampare alla forza delle ricostruzioni. Ci pensò bene il Genio Civile che alla propria maniera scorticò interamente la facciata e le sovrappose una cortina in mattoni a faccia vista. Una pesante sabbiatura ha cancellato la patina del tempo e la rimozione dell'intonaco sulla parete esterna della navata laterale ha riportato alla luce importanti lapidi romane che, riportate dal Mommsen, erano date definitivamente per disperse. All'interno il vecchio pavimento è stato sostituito da uno moderno e poco attinente con l'architettura del luogo così come si è provveduto a realizzare una pulizia generale rimuovendo gli altarini laterali. Sempre con quest'intervento il portale di accesso al campanile è stato trasformato e attualmente viene utilizzato come secondo accesso alla chiesa.
La Cattedrale
Le origini della Cattedrale di Venafro possono riferirsi ai primi secoli del Cristianesimo e la sua particolare collocazione con molta probabilità coincide con l'originario sito. Posta all'esterno del nucleo medievale della città, non avrebbe alcun senso pensare che la chiesa sia stata in epoca successiva spostata nella sede attuale ma più logico è pensare che sia avvenuto uno spostamento del nucleo abitato oppure che i primi costruttori si siano posti il problema di trovare un luogo naturalmente protetto com'è il colle S. Leonardo e posto nelle vicinanze di quella che era una vera e propria cava a cielo aperto di materiale lapideo e cioè i resti del teatro romano.
Pertanto, sorta intorno al V secolo sul colle S. Leonardo, nella parte opposta al colle S. Angelo, su cui si sarebbe successivamente sviluppato il nucleo longobardo, non ha mai cambiato la sua originaria collocazione.
A chi possa riferirsi la prima edificazione è alquanto difficile ma la presenza a Venafro nel V secolo di un Vescovo, Costantino, ci può far ritenere che se non fu il fondatore comunque trovò la Cattedrale agli inizi della propria edificazione.
Da un primo esame della struttura muraria della Cattedrale si ritrovano vari elementi architettonici, tra cui molti gradini del teatro romano, che sono stati riutilizzati per l'edificazione della chiesa. Evidente è la configurazione planimetrica delle absidi dettata dall'utilizzo di pietre che una volta erano parte di edifici circolari. Absidi che oltre ad avere un particolare sviluppo planimetrico costituiscono, nella parte esterna, una vera e propria raccolta epigrafica.
Osservando l'attuale impianto planimetrico della Cattedrale risulta alquanto difficile quale può essere stato il suo nucleo originario. Comunque è certo che la chiesa nei suoi primi anni non aveva le dimensioni attuali. Pertanto proseguendo nell'ipotesi che il primo nucleo coincida con l'attuale zona del presbiterio estesa alle prime due colonne della navata centrale che a differenza delle altre, nella parte inferiore, sono costituite da mattoni, ci si ritrova di fronte ad una chiesa a pianta centrale di ridotte dimensioni.
Osservando le pietre della facciata a sud si nota che anche queste sono di chiara provenienza romana e con molta probabilità sono state utilizzate al momento dell'ampliamento della chiesa ed erano collocate nelle strutture murarie del primo impianto.
Il portale centrale realizzato interamente in pietra è sormontato da una lunetta con arco a sesto acuto e all'esterno delle parti terminali dei piedritti troviamo due figure mostruose.
I portali laterali sono a sesto acuto e quello della facciata meridionale riporta altre interessanti raffigurazioni mostruose.
Il disastroso terremoto del 1349 di sicuro recò consistenti danni alla Cattedrale di Venafro.
Dopo il terremoto del 1456 fu probabilmente il Vescovo Antonio Mancini che provvide alla soprelevazione della torre campanaria. Ciò è ipotizzabile dalla presenza nel lato meridionale del campanile dell'immagine del Vescovo benedicente chiamata popolarmente Antuono o marzo con sette cappotti.
Sempre nel prospetto principale, a lato destro del portale centrale, è inserita la Porta Santa. Nella lunetta della porta è inserita una lapide sottostante lo stemma del Vescovo Orazio Caracciolo e ci ricorda la cerimonia dell'anno Santo 1576.
Con Ladislao d'Aquino vescovo iniziarono le grandi trasformazioni della chiesa. Saimo verso la fine del 1500 e la Cattedrale cominciava ad assumere le forme barocche che l'hanno caratterizzata fino al restauro iniziato negli anni sessanta.
Con il Vescovo Carlo Nicola de Masso (1690) si ebbero grandi trasformazioni e non poche critiche per la notevole spesa affrontata.
Il 4 ottobre 1804, mentre era Vescovo Donato de Liguoro, un pauroso incendio interessò gli arredi della sagrestia ed andarono distrutti arredi e suppellettili sacre. I paramenti furono rifatti così come i due confessionali che ancora oggi vediamo.
Immagini realizzate prima dei restauri degli anni sessanta ci mostrano l'interno della Cattedrale decorato con marmi e stucchi così come la facciata esterna presentava due campanili. Quello di destra fu arbitrariamente demolito. I restauri effettuati dalla Soprintendenza negli anni sessanta hanno portato all'eliminazione totale della veste barocca tra cui l'altare maggiore, commissionato nel 1764 dal Vescovo Stabile e realizzato dal napoletano Vincenzo D'Adamo.
La cappella del crocefisso
Fu fatta realizzare verso la fine del XVII dal Primicerio Antonio Rosario De bellis. La dotò di rendite per avervi fatto ricavare il suo sepolcro che prese il nome di Cimitero di Terra Santa per avervi depositato la terra di Gerusalemme. Il paliotto in marmo dell'altare può essere attribuito alla scuola di Domenico Antonio Vaccaro. Il busto in marmo del Primicerio fu collocato nel 1795 ad opera di Michele Coppa.
La Chiesa di S. Angelo
Per risalire all'anno di fondazione della chiesa riportiamo quanto descritto negli annali del De Utris: "An. 1613. A. 29 di marzo la Curia Vescovile di Venafro concedè ai nuovi confratelli della Congregazione dell'Angelo Custode promossa da fra Crisostomo d'Avella la chiesa scoverta e diruta di S. Mauro sita dentro la città, al quale fu rifatta con mutarseli il titolo, prendendo quello di S. Angelo Custode".
La chiesa si trova alla "via per dentro" e si pone come conclusione prospettica del vicolo che le sta di fronte. La facciata è molto semplice e divisa in due da una cornice sporgente. Il portale, realizzato con pietra di S. Nazario, è sormontato da un timpano triangolare. La verticalità è accentuata da due lesene che hanno nella parte terminale due capitelli stilizzati che costituiscono il collegamento tra le stesse e la parte terminale della facciata realizzata in forma triangolare.
L'interno è decorato con stucchi e cornici. Quasi a pianta centrale coperta con volta a botte, all'incrocio tra la navata e la cupola vi è un finto transetto.
È molto importante, al fine di una salvaguardia del monumento, che la chiesa ritorni ad essere utilizzata anche con destinazioni diverse da quelle naturali.
La Chiesa di S. Sebastiano
La sua fondazione si deve ai confratelli della Congrega di S. Sebastiano e così come si presenta a noi oggi altro non è che il frutto di sovrapposizioni e rifacimenti.
Nel 1583 il vescovo Ladislao D'Aquino concesse ai confratelli la chiesa di S. Marco che era divenuta ricettacolo di bestie e, si legge nell'atto di donazione, luogo di peccato. La costruzione iniziò quasi subito per mano di mastro Baldassarre Lombardo ma non fu terminata. Ripresi i lavori da Beltrame Lombardo si terminò la costruzione. Nel 1659 fu aggiunto il campanile e alla fine del 1700 altre modifiche furono apportate alla facciata.
Distrutta durante al seconda guerra mondiale prima di essere ricostruita fu necessario abbatterla definitivamente. La nuova chiesa, progettata secondo il gusto di quel periodo, fu riedificata sulle fondamenta di quella che fu l'antica chiesa di S. Sebastiano.
Fu riaperta al culto il 22 novembre del 1959 con solenne cerimonia dell'allora Vescovo Giovanni Lucato.
La Chiesa di S. Paolo
Prendendo in prestito le informazioni fornite dal Masciotta ricaviamo che negli anni immediatamente prima del 1182 già esisteva così come si ricava da un istrumento del 1328. Nella veste attuale non conserva nulla della sua origine medievale essendo stata trasformata verso il XVIII secolo secondo il gusto del tempo. La facciata è separata in due ordini da una pronunciata cornice in stucco e il portale rettangolare è realizzato in pietra di S. Nazario. Ai lati estremi della facciata lesene accentuano la verticalità della facciata. Al di sopra del portale troviamo un grande finestrone con arco ribassato. Tutta la facciata si conclude con una serie di cornici semiellittiche.
L'interno è a unica navata ripartita in senso longitudinale da due arconi. Sul lato sinistro del presbiterio un piccolo ambiente veniva utilizzato come sagrestia. Nel vicoletto a lato della chiesa si trova la casa canonica.
La Chiesa dei Santi Martino E Nicola popolarmente detta S. Antuono
Esistente già nel 1.300 la chiesa dei Santi Nicola e Martino si trova all'interno del borgo medievale. La facciata è divisa in due da una cornice modanata e l'accesso alla chiesa avviene attraverso il portale rettangolare sovrastato da una lunetta semicircolare che ha come diametro una misura inferiore a quella della parte superiore del portale sottostante. Ai lati di questo due nicchie. Nella parte superiore, in asse con il portale, troviamo il grande finestrone ad arco ribassato e due nicchie con le raffigurazioni dei due Santi a cui è intitolata la chiesa. Nell'angolo in basso una colonna romana è inserita nella muratura. Tutta la composizione ha una conclusione triangolare e nella parte più alta due archi ospitano le campane.
Fortemente danneggiata nel novembre e dicembre 1943 fu chiusa al culto nel 1965.
La casa canonica conserva importanti ricordi in quanto ha ospitato spesso Padre Pio che durante la sua permanenza a Venafro andava ad insegnare la dottrina cristiana e le canzoni mariane alle bambine della parrocchia.
Il crollo quasi totale delle volte e una copertura provvisoria in lamiere, diventata definitiva, portano lentamente il monumento verso il definitivo collasso.
La Chiesa di S. Lucia
Inglobata nel nucleo costituito dall'espansione seicentesca della città, prospetta lungo la via Amico da Venafro. Non si conosce l'anno di fondazione ma di sicuro non è anteriore al XIV secolo. Al primo colpo d'occhio lo sviluppo verticale della facciata risulta alquanto sproporzionato e l'attuale facciata è stata sovrapposta all'antica. Ad aula unica senza elementi architettonici di richiamo, all'interno furono realizzati due solai per ricavarne altri due piani e la navata della chiesa fu coperta con una volta a botte. Nel 1633 fu adattata per ospitare l'ospedale del SS. Rosario.
Spogliata di tutti gli arredi sacri la chiesa fu utilizzata come sala cinematografica e per piccole rappresentazioni teatrali. Dopo altri utilizzi, la chiesa attualmente è totalmente in disuso. Pensare di poter ridare alla chiesa la sua antica funzione è alquanto impensabile ma un diverso utilizzo di sicuro le può essere dato.
La Chiesa di S. Giovanni
Dalla "via per dentro" svoltando i gradini di S. Janne una volta il percorso in salita era concluso prospetticamente dalla facciata della chiesa di S. Giovanni, da qui il nome ai gradini di S. Janne.
La chiesa verso la fine del XVIII secolo fu inglobata nell'attuale palazzo Macchia - Nola.
La Chiesa del XV Secolo
Nel quartiere Ciaraffella, alle spalle della villa comunale di corso Lucenteforet, ben riconoscibile è la facciata a capanna con rosone di una chiesa. Utilizzata attualmente come garage non è possibile sapere con quale chiesa possa essere identificata tra quelle delle antiche descrizioni. Al suo interno esisteva un'immagine sacra.
La Chiesa di S. Antonio da Padova
Posta lungo via De Utris nelle immediate vicinanze della chiesa dell'Annunziata la facciata della chiesa è divisa in due parti da una cornice. Il portale rettangolare è sovrastato da una piccola edicola recante l'immagine su maioliche di S. Antonio da Padova. Nella parte soprastante un'apertura rettangolare è conclusa nella parte superiore da un arco ribassato.
Nella facciata sud un finestrone con molta probabilità è la riduzione di un'apertura circolare. L'interno a navata unica e di ridotte dimensioni è sormontato da una cupola. Finte finestre e cornici in stucco dimostrano le capacità realizzative delle maestranze impiegate. Di interesse notevole tutta la parte dedicata ad ospitare i confratelli durante le cerimonie religiose, realizzata in legno finemente lavorato. Ad un intervento di consolidamento statico ci si auspica che l'Ente proprietario faccia seguire opere di ristrutturazione.
La Chiesa e il Convento di S. Spirito a Maiella
L'intero complesso è situato lungo la via nuova che da Venafro porta a Pozzilli, immediatamente dopo le ultime case.
Da Masciotta apprendiamo che la chiesa fu fondata anteriormente al 1274 trovandosi citata in una Bolla di Papa Gregorio X e relativa alle Case Celestine.
Con atto del 19 settembre 1724 i monaci del Convento di S. Pietro Celestino di Isernia in qualità di possessori vendettero lo stabile, ormai in disuso e in rovina, alla canonico Francesco Del Vecchio di Venafro. Nel 1799 fu requisita dal generale Championnet per acquartierarvi alcune truppe del suo esercito.
La chiesa dove finalmente sono iniziati, a totale carico dei proprietari, lavori di recupero pian piano sta restituendo quegli elementi la cui presenza fu ipotizzata da F. Valente negli anni settanta. Infatti da dietro l'intonaco è venuto fuori un 'apertura circolare con una cornice in pietra finemente lavorato. Al di sotto di questo il portale principale della chiesa, sormontato da lunetta circolare con affresco, che era stato murato per consentire un diverso utilizzo degli ambienti. Attaccato al lato sud della chiesa troviamo il convento che è caratterizzato al piano terra da un portico con archi a tutto sesto conserva poco dell'originaria struttura. Infatti molti degli archi del portico furono murati per ricavare ulteriori ambienti e nel piano superiore, dov'era la residenza dei monaci, tutta la disposizione delle cellette è stata alterata così come le finestrelle di queste sono state allargate.
Dopo la seconda guerra mondiale, la campana della chiesa fu portata alla chiesa di Vallecupa. Purtroppo non molto tempo fa è stata fusa per realizzare l'attuale campana.
La Chiesa delle Mancanelle già S. Maria di Loreto
La conclusione prospettica della via Gian Battista della Valle era affidata alla facciata della chiesa delle Mancanelle. In epoca abbastanza recente la chiesa fu abbattuta perché pericolante e tutte le pietre che la costituivano accatastate in quell'area. Grazie all'opera di volontari nel 2000 si è cercato di rimettere insieme alcune di queste pietre e ridare un accenno di forma alla facciata che servisse a testimoniare dell'importante presenza del passato.
Sull'origine della chiesa non si hanno notizie certe ma essendo posta all'interno della città medievale e soprattutto del nucleo longobardo, analizzando i caratteri architettonici della facciata grazie all'aiuto di una foto d'epoca, possiamo affermare che di sicuro la sua esistenza non è posteriore al XIII secolo. La facciata della chiesa presentava un portale rettangolare con architrave sporgente sormontato da lunetta circolare. Allineato al portale il finestrone centrale, di sicuro successivo alla fondazione, e al termine della facciata in posizione più elevata la struttura che ospitava due celle campanarie a vento. L'abbattimento della chiesa e l'eliminazione della gradonata nella parte anteriore della facciata hanno cambiato fortemente l'aspetto dei luoghi.
La Chiesa e il Convento del Carmine
Sulla diruta chiesa di S. Pietro venne realizzata la chiesa del Carmine. Con i generosi lasciti di Lavinia Vittoria Grazia , baronessa di Macchia, e di P. Angelo Prato da Sesto, monaco Carmelitano, iniziarono i lavori di costruzione della chiesa e del convento. L'ultimazione delle due opere non procedette di pari passo. Infatti la chiesa fu terminata prima del convento e ultimato alla fine del 1600 il primicerio De Bellis vi depositava i 1400 volumi della sua biblioteca istituendo così di fatto una prima biblioteca civica. Il regolamento e le volontà del donatore, al fine della salvaguardia del patrimonio, erano molto rigide ma, nonostante ciò, il patrimonio librario ha subito negli anni perdite importanti.
La chiesa a seguito di calamità naturali è stata sempre la più danneggiata tra le chiese di Venafro. Questo testimonia che le sue strutture probabilmente non furono realizzate da maestranze esperte. La facciata crollò con il terremoto del giugno 1688. Sempre per terremoto nel 1805 crollò il campanile non più ricostruito. La chiesa venne riaperta al culto nel 1872.
Il convento dopo la soppressione degli ordini monastici è stato adibito, con molte trasformazioni, a scuola e l'unico elemento originario che resta è il chiostro.
La facciata della chiesa presenta un basamento in pietra ed è scandita da due coppie di lesene terminanti con capitello ionico. Il portale rettangolare è realizzato in pietra ed è sormontato da una lunetta semicircolare. Al di sopra un'apertura rettangolare. Tutta la composizione è conclusa in alto dal frontone triangolare.
Chiusa di nuovo al culto a causa del terremoto del maggio 1984 è stata riaperta il 3 luglio 1994. L'interno a navata unica oltre varie lapidi non presenta elementi di rilievo artistico. Le uniche tele furono rubate! A sinistra del presbiterio un'apertura immette in un piccolo ambiente utilizzato come sagrestia. Purtroppo tutta la struttura risente dei difetti costruttivi iniziali e gli interventi effettuati dopo poco hanno risolto. Infatti la chiesa è interessata da forti infiltrazioni di acqua ed è necessario effettuare interventi che arrestino tali fenomeni.
La Chiesa del Purgatorio
Con il lascito dell'arcidiacono D. Antonio Lombardi, avvenuto nel 1722, iniziava a sorgere la chiesa delle anime del Purgatorio. La donazione fu di 300 ducati mentre l'usufrutto dei suoi beni fu lasciato alle sorelle Geronima e Prudenzia che erano monache nel locale convento di S. Chiara.
La scelta del luogo non fu casuale. Infatti posta immediatamente fuori la porta del Mercato e in prossimità della taverna del Procaccio consentiva ai numerosi mercanti e viandanti di poter disporre di un luogo sacro senza entrare necessariamente nella città ma soprattutto rispondeva all'esigenza di poter seppellire i morti in ambienti ricavati sotto il pavimento. La chiesa fu consacrata il 13 febbraio 1749. Realizzata in stile barocco non se ne conoscono architetto e maestranze ma di sicuro è l'unica chiesa che ci sia pervenuta senza che abbia subito modifiche ed è l'unica che sia nata con un progetto ben definito senza che venissero utilizzati edifici preesistenti ed adattati all'occorrenza.
La facciata è ripartita in tre ordini divisi tra loro da cornici aggettanti ed è scandita verticalmente da lesene con capitello nella parte superiore. Il portale rettangolare è affiancato da due nicchie e sormontato da una cornice ottenuta sovrapponendo ellissi con diametri differenti. La parte centrale accoglie un grande finestrone, concluso nella parte superiore da un arco ribassato, e due nicchie.
La parte terminale è conclusa da un frontone semiellittico ed ospita l'orologio.
Arretrate due piccole celle campanarie.
L'interno è a croce greca e nei due bracci laterali sono ospitati altari realizzati con marmi pregevoli. Ugualmente l'altare centrale.
Dal 1944 è sede della parrocchia di S. Simeone precedentemente ospitata nella chiesa che si trovava in via Redenzione e che andò distrutta durante i bombardamenti del marzo 1943.
Chiusa al culto per il terremoto del 1984 è stata riaperta nel 1994. I lavori di restauro hanno purtroppo lasciato la facciata dipinta in vari colori, probabilmente solo per il gusto di sperimentare nuove soluzioni cromatiche. Ci si auspica che ben presto tale problema venga risolto. In ultimo un intervento all'altare ha portato all'eliminazione ingiustificata di alcuni gradini in marmo.
La Chiesa e il Convento S. Agostino
Il Masciotta, senza citare la fonte della notizia, riferisce la fondazione del complesso anteriormente al 1328. Soppresso nel 1809 ospitò successivamente il Regio Giudicato e il Carcere Mandamentale.
Trasformata in parrocchia l'11 ottobre del 1809 accolse, su istanza del parroco D. Ferdinando Ricci, la parrocchia di S. Giovanni de Graecis.
Con la riduzione delle parrocchie avvenuta nel 1963 la chiesa fu privata della giurisdizione per la cura delle anime pur rimanendo canonicamente riconosciuta. Infatti fu utilizzata per sostituire la vicina e pericolante chiesa dei SS. Martino e Nicola e per ospitare la sede della parrocchia di S Simeone nel periodo che questa fu interessata da lavori di restauro. Successivamente è stata chiusa al culto e lasciata in totale abbandono.
Dopo il sisma del 1984 una parte degli uffici comunali fu sistemata all’interno del convento e finalmente dopo anni di attesa nel 1993 è stata riaperta e accolta in quelle che erano le stanze del convento la biblioteca comunale "Antonio De Bellis". Con grande cerimonia dal luglio del 2003 la biblioteca accoglie la preziosissima donazione libraria dello studioso Gennaro Morra.
A seguito di lavori sono stati riaperti i 3/4 degli archi del chiostro e nei piani superiori è venuta alla luce una piccola cappella, probabilmente utilizzata dai monaci per i loro esercizi spirituali senza andare direttamente nella chiesa.
Al lato del convento è posta la chiesa intitolata a S. Agostino. La bella facciata settecentesca nella parte superiore richiama i motivi della facciata dell'Annunziata. A lato del portale due pilastri sormontati da una sorta di cuspide hanno funzione decorativa.
L'interno a navata unica decorata a stucchi ha l'altare maggiore e l'organo di notevole interesse. L'altare è opera probabilmente di Nicola Ghetti mastro marmoraio napoletano.
La Chiesa dell'Annunziata
L’organizzazione delle Confraternite dei flagellanti mosse i primi passi intorno al duecento partendo dalla Toscana e dall’Umbria. Già in quel periodo Venafro era interessata dai grandi percorsi che collegavano il sud al nord attraversando gli appennini. Tali presenze possono essere considerate come uno dei motivi principali di diffusione del movimento dei Flagellanti a Venafro. Il primo gennaio 1386, sette confratelli, alla presenza del notaio Ciccio Antonio de Parma, si riunirono per redigere l’atto di fondazione della Confraternita dell’Annunziata.
La chiesa dell’Annunziata è considerata tra le chiese barocche più belle del Molise ed è per i venafrani uno dei riferimenti religiosi più alti essendo legata alla presenza fisica del Busto di S. Nicandro. Infatti in una nicchia in fondo a sinistra della navata il Busto argenteo di S. Nicandro fa bella mostra di se. Dall’Annunziata iniziano e terminano tutte le manifestazioni religiose legate al Santo a partire dalla processione del 17 maggio per finire alla lunga processione serale del 18 giugno.
La facciata, realizzata interamente con materiale di spoglio proveniente dal vicino teatro romano, conserva tutti i segni dell’evoluzione che il monumento ha avuto nel tempo. Tra le pietre romane di interesse è l’epigrafe VSONIVS C . F/AEDIL, alcuni giochi di trix, un’anfora inserita in un festone a grappoli e foglie d’uva, ecc.., mentre alla base del prospetto alterale su via De Utris si ritrovano basi di torchio.
Ponendoci di fronte ad essa ed eliminando le pietre di colore più scuro ci rende possibile la ricostruzione della prima facciata con disegno a capanna. Il portale, rispetto all’attuale, era decentrato verso destra e durante l’ampliamento seicentesco fu smontato e tutti gli elementi, con le necessarie aggiunte, furono rimontati nel posto dove si trovano oggi. Realizzato interamente in pietra di S. Nazario è sormontato da una cornice alata. A sinistra del portale si riconoscono ancora gli tutti elementi della torre campanaria: il portale, una monofora e una bifora.
Al di sopra del portale vi era un grande rosone circolare.
Nel XVII secolo con una radicale trasformazione la navata venne ampliata inglobando la vecchia torre campanaria ed altri elementi architettonici di pregio furono realizzati all’interno del monumento grazie all’iniziativa del Priore Francesco Coppa. Verso la metà del settecento altri lavori portarono a definire la chiesa così come l’ammiriamo oggi. L’interno a navata unica è coperto da una volta realizzata mediante una grande incannucciata intonacata che accoglie il grande affresco centrale della Madonna nella gloria dei Santi. Sui due lati della navata in numero di tre per lato sono ospitate tre cappelle separate tra di loro da quelli che sono i pilastri portanti della chiesa. Attraverso una scala formata con balaustra in marmo si accede al presbiterio.
L’altare che si erge su tre gradini è realizzato in marmi policromi. L’impiego di varie qualità di marmo realizza degli accentuati effetti decorativi. Due teste di cherubini fungono da capialtare.
Al di sopra di questo due colonne tortili realizzate interamente in scagliola e decorate a finto marmo sorreggono la parte superiore. Inquadrata in questi elementi è la tela dell’Annunciazione.
All’interno sono ospitate importanti opre d’arte di Paulo Sperduti e di Giacinto Diano
Tutti gli stucchi interni furono realizzati dai due mastri stuccatori milanesi Giandomenico de Lorenzi e Carlo Giuseppe Tersini.
La cupola è la parte esterna di raffinata esecuzione e di elevato disegno architettonico. Databile alla prima metà del XVII secolo è da tutti definita la cupola più bella della regione. Costituita da tre parti distinte ma collegate tra loro: tamburo, calotta e lanterna. Realizzata interamente in pietra porosa locale che viene chiamata popolarmente pipierno.
L’organo terminato nel 1784 dal mastro organaro Nicola Abbate di Airola fu successivamente restaurato da suoi discendenti. Dopo anni di abbandono nel 2003 l’organo artistico della chiesa dell’Ave Gratia Plena è tornato a far sentire la propria voce grazie al contributo privato con un concerto inaugurale tenutosi il 29 di gennaio del 2003.
La Chiesa di Cristo
Il Valla nel suo manoscritto riporta l'anno di fondazione della chiesa al 1546. Il 3 maggio del 1546 il vescovo autorizzava la costruzione della chiesa e dopo quattordici anni di lavoro mastro Giovannello da Colli la portò a compimento. Quindi la prima chiesa del 1546 era di dimensioni ridotte ed occupava la zona dell'attuale presbiterio. La navata era perpendicolare all'attuale via Cavour ed era prospiciente l'arco del Palazzotto. L'ingresso era da via Cavour dove ancora si conserva l'accesso alla vicina casa della confraternita.
Nel 1650 fu ampliata ed assunse l'orientamento attuale. L'accesso venne portato sulla piazza attuale e la navata della precedente chiesa fu utilizzata come presbiterio e sagrestia.
Nel 1790 i Sindaci della città, con il consenso dell'amministratore della Confraternita D. Michele saracino, la chiesa fu prescelta per accogliere la testa d'argento di S. Nicandro, reliquiario del 1340 realizzato da Barbato da Sulmona con un fine lavoro di oreficeria.
La facciata, caratterizzata da due coppie di lesene, è molto semplice. Il portale rettangolare, realizzato in pietra di S. Nazario, è sormontato da una edicola inserita in un timpano semicircolare spezzato.
Il campanile fu soprelevato nel 1789 e vi fu posta la campana massima venuta da Napoli.
Nel maggio del 1813 la chiesa fu per la prima volta imbiancata. Attività ripetuta negli anni settanta del secolo scorso dall'allora parroco D. Luigi Valente.
Dal 1931 è la parrocchia di S. Maria di Loreto precedentemente ospitata nella chiesa delle Manganelle.
L'interno apparentemente a croce latina e invece a navata unica. Infatti tra l'aula e il presbiterio un finto transetto, limitato ad un accenno, si apre con delle false prospettive in stucco che riescono a dare l'impressione dell'esistenza del transetto.
La Chiesa della Madonna delle Rose
Di sicuro esisteva agli inizi del XX secolo vista la richiesta effettuata dal sig. Nicolino Giambarbara al S.E. Mons. Rotoli di poterla restaurare a sue spese col privilegio del diritto di Patronato. Richiesta accolta e lavori eseguiti. Appartenente al beneficio parrocchiale del SS. Rosario di Ceppagna la sua facciata è semplice con portale rettangolare il cui architrave è sostenuto da due mensole. La conclusione è triangolare. Aveva una sua ragione di esistere in quanto posta fuori del centro abitato accoglieva i fedeli in transito lungo quella che era una delle arterie principali che raggiungevano Venafro. Purtroppo negli anni novanta alle sue spalle è stato costruito un edificio moderno sproporzionato rispetto alla chiesetta che ha perso definitivamente la sua funzione e il suo richiamo.
La Cappella di S. Donato
Posta nelle immediate vicinanze del Verlasce e sulla strada proveniente da Napoli fu chiusa la culto nel 1920 e successivamente riaperta nel 1942 per interessamento dell'arciprete D. Alfonso Patriarca che rifece a sue spese il pavimento e la pittura. Danneggiata durante la seconda guerra mondiale è stata riaperta poche volte. La statua del Santo titolare nel 1984 è stata trasportata a Ceppagna.
La Chiesa Nuova dei SS. Martino e Nicola
Progettata dall'architetto Coppola è stata realizzata nel 1970. Successivamente negli anni novanta ha subito delle modifiche planimetriche che l'hanno ingrandita e resa architettonicamente più valida. Ad aula unica, quasi una pianta centrale, accoglie all'interno il crocifisso del '700 oltre due importanti tele dei SS. Titolari della chiesa e dell'Addolorata, provenienti dalla vecchia chiesa.
Durante gli ultimi lavori la cupola è stata rivestita di una raffinata lamina in rame.
La Cappella di S. Benedetto
Dal catasto Onciario del 1775 si legge: " il Real Monistero di Montecasino possiede in tenimento della città di Venafro una casa palaziata di più membri…….. Cappella colla porta al vico giusta li suoi confini, per uso del Rettore destinato da detto Real Monistero, per l'amministrazione de beni in detta città".
Nel vico Porta Guglielmo ora S. Benedetto ancora si riconosce l'ingresso della Cappella realizzato in pietra e sormontato da un arco spezzato che corona un'edicola rettangolare. L'edicola contiene la seguente iscrizione: SACELLUM HOC SANCTORUM REL/QUIIS INSIGNITUM SS. PATRIARCHAE/BENEDICTO PATRONO PARENTI/TUTELARI POST BONORUM OMNIU/OBLATIONEM HONORIUS SCARAMUCCIA/NOBILIIS VENAFRANUS ABBAS CASINIS/FREXIT DICAVIT DONAVIT ANNO DNI/1656.
Attualmente la cappella è stata trasformata in abitazione privata.
La Madonna delle Grazie
Alle spalle del castello, inerpicandosi per un sentiero si raggiunge la piccola chiesa della Madonna delle Grazie. Con molta probabilità in origine era dedicata a S. Michele Arcangelo e la vicinanza della grande grotta può essere di aiuto nel supportare questa ipotesi e pertanto la fondazione longobarda. La facciata molto semplice nasconde quella che era l'originaria facciata a vela. L'interno, di ridotte dimensioni, ad unica navata si conserva il dipinto della Madonna titolare della chiesa opera della pittrice Bianca Santilli.