Gli Uliveti
Ben prima che i Romani avessero conoscenza dell’olio di Venafro, per secoli le piantagioni di ulivo erano state coltivate dagli abitanti del luogo in un territorio piuttosto ristretto, che, dalle spalle dell’attuale città, si estendeva ai due lati, verso est ed ovest. Si preferì il territorio montuoso, dove l’albero attecchiva bene e dava un olio pregiatissimo. I passoni venivano piantati nella terra con una tecnica particolare, asportando delicatamente la parte superiore della corteccia e la parte rimanente, da interrare, veniva bucherellata con tocchi piccoli e decisi, dai quali dovevano emergere le radici alla profondità di tre vangate, circa sessanta centimetri. Per i primi due anni la giovane pianta stentava a crescere, ma non appena riusciva ad allungare le radici si sviluppava rapidamente.
La fascia delle piantagioni di uliveti continuò ad essere quella preferita dai primi coltivatori, cioè tutte le falde montane, e più in alto rocciose, che si estendono dalle Tre Cappelle al Monte san Lazzaro, per un’estensione di circa cinque chilometri.
Solo più tardi, verso l’Ottocento, le piantagioni furono estese a valle, verso Ceppagna. Infatti le ultime “piante di Vallone” furono messe in dimora nel 1885 e qualche decennio dopo nacque l’oliveto di Lucenteforte, come una macchia isolata, più giù, verso Roccapipirozzi. Il resto della piana restava sgombra da ogni albero e solo a fine Ottocento-inizio Novecento si incominciò ad ulivetare l’estrema parte verso il Volturno, ma con larghi spazi campestri. Nacquero così piantagioni di vari proprietari, grandi e piccoli, che si estendevano da Pietrabianca alle Mortine ed a tante altre zone con nomi meno noti.
Oggi, purtroppo, questo immenso patrimonio è in buona parte abbandonato. La potatura è quasi inesistente e i rami tendono a seccare, spesso avvolti da rovi rampicanti e da altre erbe infestanti. A ciò si aggiungono ogni estate incendi devastanti ed i tronchi annosi, ormai secchi, prendono fuoco facilmente. Solo di recente qualcosa ha cominciato a muoversi in favore di questa meravigliosa pianta. L’auspicio è che l’albero dell’olivo possa continuare a vivere e fruttificare, simbolo di pace e prosperità anche per le future generazioni.
L’OLIO D’OLIVA
Dell’ulivo, pianta già nota presso le civiltà antiche, non si conosce l’esatta origine. Probabilmente si diffuse dapprima nelle regioni dell’Asia Minore, arrivando poi in alcuni paesi mediterranei, come la Grecia, l’Italia, la Francia, la Spagna e le coste settentrionali dell’Africa. Molti popoli crearono intorno a quest’albero leggende e simboli inneggianti alla pace, alla bellezza e alla sapienza.
Molti sono gli scrittori antichi e meno antichi che hanno lodato le olive e l’olio di Venafro:
Catone il Censore nel capitolo 45 della sua “De Agricoltura” consiglia di commercializzare le olive adottando le norme in vigore a Venafro. A quei tempi, dunque, Venafro dettava le regole per la vendita delle olive: “Olea pendens hac lege venire oportet. Olea pendens in fundo Venafrano venibit”.
Marco Varrone nel secondo capitolo del 1° libro della sua “De re rustica”: “Quale olio potrei paragonare con quello di Venafro?” (Quod oleum comparem Venafrano?).
Plinio il Vecchio al capitolo 2 del libro 15 intitolato “De oleo” afferma: “Per pubblica ammissione anche in questo bene di natura (l’olio) l’Italia ha conseguito il primato, specialmente per l’agro venafrano e per la spremitura dell’olio Liciniano, … grazie al suolo adattissimo agli ulivi”.
Strabone: “merita particolare elogio tutto l’agro Venafrano, donde proviene un olio ottimo (Laudem habet totus Venafranus ager, unde oleum optimum)
Orazio cita l’olio di Venafro nell’ode 6 del secondo libro, nella satira 8 del secondo libro e ancor più nella satira 4 del secondo libro, dove per rendere gradevole un intingolo suggerisce di versarci sopra l’olio ricavato dalle olive Venafrane: “Insuper addes pressa Venafranae quod bacca remisit olivae”
Marziale nell’epigramma 101 del libro 13 scrive: “Questo lo trasudò per te la bacca della campana Venafro, ogni volta che ne formi un unguento, odora anche questo”.
Giovenale alla satira 5: “Egli di persona cosparse il pesce con l’olio Venafrano”.
Giovanni Presta nella sua “ Memoria intorno ai sessantadue saggi diversi di olio presentato alla maestà di Ferdinando IV re delle due Sicilie” nel ricordare che l’olio di Venafro proveniente dall’oliva Liciniana (da Licinio, il romano che per primo la importò) si distingueva tra quelli graditi ai Romani, aggiunge che, se i contadini usassero più diligenza nella manutenzione, l’olio di Venafro sarebbe tuttora insuperabile.
Il Marchese Grimaldi nell’opera intitolata “Istruzioni sulla nuova manufattura dell’olio introdotta nella Calabria” precisa che l’olio prodotto dall’oliva Liciniana di Venafro era il più apprezzato presso i Romani, ma ai suoi tempi era stato superato da quello prodotto ad Aix in Provenza, che proprio da Venafro aveva importato le piante d’oliva Liciniana.
Bartolomeo Gandolfi nel suo “Saggio terapeutico sopra gli ulivi” conferma che l’olio “in specie di Venafro è riputato superiore ad ogni altro”.
Il Marchese di Pietracatella nel suo “Itinerario di Napoli e Lecce” parlando dell’olio pugliese afferma che “le olive di Venafro, dette Liciniane dai Romani, chiamate oggi Aurine, resero un terzo in più delle ogliarole leccesi, e le altre ulive di Venafro, dette Sergiane dai Romani, oggi chiamate Resciole, diedero un prodotto poco inferiore alle Liciniane.
Il canonico Francesco Lucenteforte, professore di agricoltura, nel suo “Canto per gli ulivi di Venafro” scriveva: “Venafro giace alle falde di una montagna chiamata volgarmente Santa Croce, al Nord di una deliziosa valle cinta di monti pervii a mezzogiorno e ad oriente, la quale forma la sua campagna per la più gran parte fertilissima. Dietro di essa miransi come in folto bosco estesi gli ulivi incominciando dal piccolo villaggio chiamato Ceppagna sito ad Ovest di Venafro, e terminando all’altro chiamato Pozzilli, sito al Nord della stessa per la lunghezza di quasi cinque miglia. Così gli olivi occupano il Nord–Ovest, e guardando il Sud–Est della valle godono la più bella esposizione adattissima al loro rigoglioso vegetare, e rendono Venafro assai pittoresca … . Un’altra frazione di ulivi s’osserva ad Oriente. Tutti questi ulivi occupano lo spazio di 2.987 tomola di terreno giusta il catasto provvisorio fatto per Venafro e Pozzilli …”. E, in altro punto dello stesso testo: “… Oh se i proprietari Venafrani si destassero e si animassero ad introdurre i metodi che oggi sono in voga presso città più avvedute! Essi fabbricherebbero un olio che avrebbe il primato nell’Europa, poiché tra il suolo calcareo e le multiplici maniere di ulive, sulle quali la Liciniana primeggia, non vi è luogo che disposizione migliore vi avesse: né solo la qualità essi acquisterebbero migliore, ma pure maggior quantità …”.
Gli uliveti odierni sono ancora costituiti dalle qualità di piante di cui fa l’elenco il dotto canonico, puntualizzandone le peculiarità, e precisamente: la Spagnola, la Gaetana, la Grossa, la Lucegna o Pallante, la Resciola, la diffusissima Liciniana detta volgarmente Aurina, la Rotondella, la Tignuola, i Coglioni di gallo, l’Olivastro breve, l’Olivastrello, la Ghiandaia, la Circelluta, lo Gnagnaro, la Bifera o uliva di Sant’Anna. A queste qualità, tutte dal fusto medio–alto, si vanno frammischiando o affiancando impianti nuovi costituiti da alberi medio–bassi o con chioma a cascata, dalle olive grosse e facili da cogliere, come la Frantoiana, il Leccio di corno, il Leccino ed il Pendolino.
Oggi, purtroppo, molti proprietari sono demotivati e abbandonano i loro uliveti. Tale sfiducia è conseguenza diretta della vistosa incongruenza tra fatica e guadagno.
Per tentare di ridare slancio al settore, raccogliendo idealmente l’invito del canonico Lucenteforte, l’Amministrazione locale ha avviato un’iniziativa tendente alla rivalutazione del pregiato olio di Venafro. Si tratta della costituzione di una Società Per Azioni avente il compito di assicurare stoccaggio, ritiro e commercializzazione del prodotto.
La certezza della commercializzazione dovrebbe finalmente restituire fiducia anche ai piccoli proprietari, determinando un miglioramento globale dei sistemi di raccolta e trasformazione delle olive, le quali, se trattate con oculatezza e molite fresche, danno un olio impareggiabile.